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Bagaglio a mano (2010)

1. Dammi se ti Do

2. Il re già si diverte

3. Ho visto cecco bruciare

4. La città delle torri cadenti

5. Bagaglio a mano

6. Alicante

7. Alla corte di sua maestà Felicità

8. Picasso dentro

9. L'uomo che contava le stelle

10. Pagliaccio nella notte

11. Venerdì magari chiudo

12. L'inseguitrice di sogni



Testi: Manlio Agostini

Musiche: Manlio Agostini, Marco Pietrzela

Arrangiamenti: Marco Pietrzela, V. Tomassini

​

Illustrazioni: Marco Zaini

Progetto grafico: Tonino Ticchiarelli

Registrato, mixato e masterizzato al Popper Stopper Recz Studio di Valerio Tomassini (Ascoli P.)

â„—&© Manlio Agostini, Ottobre 2010

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Testi

Dammi se ti Do



Stamattina sono uscito concentrandomi sul Do

la parola m’aggrediva per i sensi che gli do.
Sul balcone dei ricordi la Giulietta mi scordò
mi ci volle un’altra estate per riaccordare il Do.
E vagando per la via mi chiamavano testardo
da tempo minacciato da un regime nato sordo.

Nel mio mondo io non ti vedo.
Per fuggire che farò? Questa sera suono il Do.
Suonando mi distraggo e sogno un uomo nuovo.
Chissà quando lo vedrò!
Diverso dal concetto dove tutto è bilanciato:
Io ti do se tu mi dai! Tu mi dai se io ti do!

La chitarra sciupa corde ma le note non le perdo
nel clamore delle folle m’avvicino e non ti vedo.
Nella notte sussurrata un cannone sta fumando
alla guerra ad ogni costo mi dispiace non ci credo.

A sto mondo io non ci credo.
Quando mai ti troverò ti prometto che ti do:
la stima, il voto nonché tutto il mio sorriso
è da tanto che non rido…
la psiche, il soffio e la gioia di un bambino
già da anni sta dormendo senti forte questo grido…

Ti cerco, non ti vedo, che mi senti non ci credo
ti sogno, ci spero, se m’appari forse è vero.
Ti cerco, non ti vedo, che mi senti io non ci credo
di balle son pieno. Grazie tante…mi dileguo!



Ho visto Cecco bruciare

​

“Oltre non segue la nostra luce”, scriveva un uomo dal gran sapere 
vissuto a corte di Carlo il duca, gettato al rogo per error di fede.
Innamorato di stelle e pianeti, scoprì l’ignoto dentro nove cieli
chi tutto muove e sempre tutto regge in ogni cielo pose la sua legge.

Dannata mente che col tempo muore, soltanto il sogno affinerà la vista
che la ricchezza non è materiale, chi men possiede quanto più acquista.
La verità non è concessa all’uomo, pieno di vizi e di passioni vane
un giorno il sole esploderà di fuoco ed il pentire toglierà il peccare.

Ho visto Cecco bruciare dentro la piazza di Santa Croce..
Ho visto Cecco bruciare, urlare al fumo parole nuove
Ho visto Cecco bruciare insieme ai suoi amati libri
Ho visto Cecco bruciare, gelar la folla con i suoi sospiri:

“Alchimia alchimia ti avevo detto di portarmi via
favole e fantasia sono illusioni come la poesia”.

Religione non prevede scienza, bisogna credere a un Dio e basta
com’ è possibile accettare questo se Gesù Cristo è vincolato a un astro
se in una notte di luna immensa l’Anticristo è diventato santo.

La conoscenza sta nelle pietre e nei metalli di forma grezza
di una natura così perfetta che fa che un’ape produca miele
non sempre è frutto se è verde foglia così un tesoro può non brillare
avemmo occhi e una sola bocca più per vedere che per parlare.

Ho visto Cecco bruciare il giorno sedici di settembre
(il fuoco mordere la sua pelle)
Ho visto Cecco bruciare, urlare al fumo parole nuove
Ho visto Cecco bruciare insieme ai suoi amati libri
Ho visto Cecco bruciare, gelar la folla con i suoi sospiri:

“Alchimia alchimia ti avevo detto di portarmi via
favole e fantasia sono illusioni come la poesia”.
“Ed io che oggi son qui che brucio, come fenice risorgo e canto
perdono l’odio di frate Accursio, perché non sanno quello che fanno”.



 



Bagaglio a mano

​

E’ una canzone strana, la sto scrivendo a getto
mentre l’aereo aspetto a una fermata.
Una canzone brava, più breve del previsto,
perché non serve il visto alla dogana.
Mi sento un po’ un’iguana in mezzo a questo chiasso
pesante come un masso afferro il mio bagaglio.
Una canzone a caldo, sott’effetto Parkinson
su lamine d’argento sanguina il pensiero
poi ricomincia il pianto di un trapano al mattino
ed io son mezzo vivo nell’ora dell’imbarco!

Una canzone e parlo col neurone che mi chiama,
al che gli do il lavoro che lui brama.
Una canzone urlata, squadro un’hostess con criterio,
il decollo di un aereo dall’Italia.
mi siedo con sospetto, proteggo il mio bagaglio.
Una canzone a caldo, sott’effetto Parkinson
su lamine d’argento sanguina il pensiero
poi ricomincia il pianto di un trapano al mattino
ed io son mezzo vivo durante l’atterraggio!

Una canzone a caldo, per scrivere l’inverno
l’umorismo dell’inferno, i colori di una crisi.           
Perché atterrare è meglio, ma più di tutto è il volo
a liberare l’uomo dall’ordine che ha dentro
a liberare l’uomo, dall’ultimo silenzio.



Alicante

​

Son qui a festeggiare da tutta la sera
e tra un ballo voluto e un altro forzato
ti cerco con ansia guardandomi al lato.
Non vedo i capelli, gli occhi, il tuo viso
nemmeno la bocca che gela il sorriso
eccetto nel sogno, non riesco a vederti
come una luce a volte ti spegni.

Ti scopro ballando sopra il mio cuore
una danza soave rallenta i suoi passi
ma poi riprende la sua pulsazione
nei tanti respiri che sono miliardi.  

Come una colomba ti perdi nel cielo
appari scompari senza stancarti
ora ti vedo sospesa nel volo…
impreco poi prego di prender quel volo…

Nel quadro sbiadito di un luogo remoto
disegno una foglia strappata dal vento
io albero nudo che va piangendo
sopra un deserto di lacrime e fango, piango, stanco, languo..
Le nuvole intorno galleggiano vuote
quest’ampia distesa è oceano infinito
dove grido sfinito e perdo la voce.  

Asi que te querria siempre cercana
cerrada en tu castillo impenetrable 
armado del escudo de nuestra pasion.

Picasso dentro

​

Chi credete che io sia? Il koala dei lampioni?
Sono loro ad esser soli, li consolo e vado via.

Non per intromettermi e nemmeno controbattere, ma...
mi trovo spesso a ripudiare tutto quello per cui vivo
perchè sbriciolo il passato contro il vento del presente.
I vestiti li ho lasciati a logorare nella stiva
e seduto a torso nudo sopra il tronco di una vela
seguo l’onda che da oriente sta avanzando disumana.
La sua ombra ormai vicina sta oscurando la mia barca
ma cadendo l’acqua sbaglia e ritorna ad esser mare
fronte bassa, labbra smorte, la mia faccia resta asciutta.
Asciutto un quadro di Picasso martellato sopra un muro
ma vedeste quante lacrime ha versato
asciutto il gelo della notte colorandosi di buio
l’orologio della calma è già scoccato.

Ed io mi colmo l’anima col fuoco di sto vino
che se è vero che mi brucia l’intestino,
consegnandomi una vita da straccione
per lo meno mi regala un’emozione.

Giusto, nessun tipo di obiezione
che il bicchiere ti vuol bene e ti perdona.
Stropicciando l’incoerenza mi ricordo un professore
che tentava di rapire le disgrazie della gente.
Da psichiatra un pò in carriera lo trovai in una corriera
in partenza con la mente a spacciare medicine.
Il problema di un perdente, io gli spiego, forse è un altro
che chi vince vince ancora e sorride al suo soffrire.
Ma il dottor della ragione la controlla ed è una sola:
alcolismo e depressione son sinonimi di droga.

La mia droga è questo mondo che mi srotola le vene
così ruvide da scriverle con l’ago.
La mia droga è un alto muro di cemento elaborato
che qualcuno ha costruito e m’ha isolato.
La mia droga ha un buon sapore nel palato
digerita da un sonetto che mi viene,
nel pattume vomitato dalle sere
bevo lirica, così canto la sete.

Venerdì magari chiudo

​

Sarà che oggi parlo tanto per parlare
che gli incisivi sodomizzano i molari
che le farfalle socializzano coi cani
e che lo specchio mi ritorna ad insultare.

Sarà che Sara questa sera si spaventa
che l’orizzonte si nasconde un’altra volta
che se non stacco queste unghia dal mio dito
m’attacco al tango e poi lo graffio all’infinito.

Sarà che il fango si potrebbe anche mangiare
che il basco verde mi rimane troppo stretto
che l’orecchino penzolante sull’orecchio
ti rende l’albero più bello del Natale.

Annego non rinnego che ho gia voglia di affogare
l’affogato più gustoso della ditta
è il pistacchio mescolato col dolore.
Mi spengo nel calore di una donna da pagare
se mi taglio il polso destro con due dita
sveglio l’anima dal sogno di un amore.  

Potrà cadere la cera sull’ombrello
che l’universo brucia sole, stelle, luna
che se un mulino si innamora di una piuma
smette ad un tratto di girare su se stesso.

Potrà accadere che la noia cerchi l’oppio
che la mia scarpa vada a letto col piedino
perché a pensarci pure questo è fare sesso
purché quel piede sia protetto dal calzino.

Potrei fermarmi due secondi a ragionare
sulla mia vita e sul mestiere che conduco
per anni stretto tra il rimorso e la morale
senz’avvisare venerdì magari chiudo.

Annego adesso affogo senza mettermi a nuotare
già a tre metri mi convinco che è finita.
Ma un delfino clandestino mi sorride
mi ci aggrappo con ardore e lui comincia a pinneggiare
che silenzio nell’immenso della vita
vedo l’onda ma non sento quel che dice.  
Che silenzio nell’immenso della vita
penso a questo e già galleggio in superficie.

Il Re già si diverte



C’era tanto tempo fa un castello sconfinato

senza sfarzo né autorità, vi regnava un uomo amato
la sua gente era stupita della pace ininterrotta
con rarissima umiltà, era colta e non bigotta.

Non lebbrosi né crociati si vedevano partire
la ragione dei duelli era solo divertire
la peste era una piaga che votata all’insuccesso
dava all’uomo rinnovato la certezza del progresso.

Dentro al castello un trono e sopra il trono un fiore
e sul balcone il suono di cento corni al sole
mentre il sovrano scende l’entusiasmo sale
è il mondo che lo vuole.

Ma gli anni trascorsi sono uguali a quei vestiti
che si disfano e ti penti di non averli custoditi
fu così che pace e unione si piegarono al terrore
e al re buono ormai morente seguì un folle dittatore.

Dazi, stupri e impiccagioni non conobbero rivali
per riempire le prigioni eran corrotti i tribunali
poi la guerra che riprese con i feudi più vicini
con la tragica pretesa di arruolare anche i bambini.

Dentro al castello un trono e sopra il trono un culo
di fianco al culo un kilo di monetine d’oro
di fronte al re una fila di ragazzine nude
vestite a prostitute.    

Il re già si diverte tanto è il popolo che lavora
ha due splendide signore con lui sotto le lenzuola
se si annoia si riveste, passa dritto all’altra stanza
c’è un banchetto e i commensali che riprendono la danza.

Il re già si diverte, solo un’ultima parola
oggi i re dei nostri giorni cambian nome, non persona
tutto il resto è proprio uguale e non cambia la sostanza
cinismo e avidità si rincorrono ad oltranza…

Ci vorrebbe più coscienza per un mondo d’uguaglianza
non si parte né si entra dentro il ghetto di una stanza
arginiamo la potenza dei vantaggi di una casta
sconfiniamo l’innocenza dai forzieri di una banca

dai comizi di una piazza. Per favore…basta!

La città delle torri cadenti

​

Non mi cercare sono lontano, corro sui resti di un ponte romano
so di sognare corro più piano, dietro le Stelle faccio cucù.

E’ la città delle torri cadenti, gelosi frammenti di un tempo che fu
dove Ventidio cullato dai venti seduto sui merli sorride lassù.

Ce veleme penzà? sogna dacce da fààà!
Che tu tiè nu tesore beneditte asculà!
Nen lu stà a recheprì se l’je state a scavàà!  

Cecco, Crivelli e Licini svegliandosi chiedono più dignità
che senza olive, Allevi e cremini sicuramente faremmo pietà.

Salto nel cielo sopra le case, odo nell’aria cantare le fate
ora le vedo provo a ballare, ma come neve rotolo giù.

Sul travertino di un grigio severo come gomitolo rotolo giù
non ricordavo che in questo emisfero esser bambino non conta già più.

Nen ce pozze penzà! Che trestezza cumpààà!
Che ‘stu bielle Picene lu stà a sfascià
Ma li faule no.. lasceteli stàà!

Angeli, diavoli e fiabe sono perduti nella realtà
per ogni goccia di Storia c’è un mare che i Sibillini conoscono già.

Tra rue e vicoli l’impossibile passerà…
troverà porto al chiostro di S.Agostino
mentre al caffè Pino concede un inchino
sotto una luna volgare l’eremo segue a brillare.

Non mi cercare sono ascolano, voglio restare sul ponte romano
per ammirare sull’altopiano timide Stelle fare cucù.      

E’ la città delle torri cadenti, gelosi frammenti di un tempo che fu
dove Ventidio cullato dai venti seduto sui merli sorride lassù.

Ce veleme penzà? Ma che ce vuò fààà!
Ma ‘stu rattattù lu vuò recapà
Pievicceca mbuò, faceme demàà!  

Cecco, Crivelli e Licini svegliandosi chiedono più dignità
che senza olive, Allevi e cremini sta papparozza nen pozze cantà.

Alla corte di sua maestà Felicità

​

Se anche oggi consumando brandy
aggiungessi un’idea al mio ingresso in ambulanza…
risate e amore a colazione
sto sbagliando tutto, è meglio un bello zabaione.
Ho visto gente aspettare al freddo il tram
eppure preferiva il caldo dei termosifoni
quante volte ho perso l’ascensore
solo per fuggire al calore dei tuoi occhi
strascicarmi da un paese all’altro sopra un volantino
per poi trovarmi, cretino, come sfinge al muro.

Felicità forte Felicità vicina
a volte ti avevo, ma me ne accorgevo appena
Felicità vigliacca Felicità cattiva
il mio tormento è che a sfiorarti, il cuor mi trema. 

Giù nel fondaco più recondito del niente
ti creavo e distruggevo nel medesimo istante
ti avvinghiavo ti gettavo animandone una danza
poi toccando l’un l’altra le mie mani
palpeggiavo sudore e rozze frasi da circostanza.
Il tuo volto ritorna a volte
a volte silenzioso spesso devastante
ma più del sasso che non si sposta
è la tua indole fantasma che mi sfianc

Felicità forte Felicità vicina
a volte ti avevo, ma me ne accorgevo appena
Felicità vigliacca Felicità cattiva
il mio tormento è che a sfiorarti, il cuor mi trema.

L’uomo che contava le stelle

 

Fu una sera di novembre che nel gelo della notte
un uomo calvo e scuro rivolse gli occhi al cielo
e tra la coltre nebbia di un mondo disperato
il cielo gli rispose: “Finalmente mi hai trovato!”
E come un lento scialle scende e svela dolci grazie
così il cielo apparve nudo, via le nuvole ecco le stelle;
“Che miracolo!”, pensò l’uomo
ma leggendogli il pensiero il cielo disse sconsolato
“No, questo è solo ciò che è stato in un’epoca lontana
quando il fumo che saliva era dal fuoco sprigionato”.  

Così il cielo pensò triste al cuore umano del passato
al giorno che quel cuore era stato avvelenato
e fabbriche e auto aveva creato.
L’uomo intanto, con meraviglia e con rimpianto,
contava le stelle, ma come pensava di aver terminato
cento mille ed altre ancora ne avvistava,
vive come i fari di un porto lontano
dove Dio saluta il mondo con la mano.
Ma mentre l’uomo guardava, come il lampo che squarcia la notte
una voce maestosa tuonava: “Ora il mio tempo è terminato!”
e preso da un pianto angosciante il cielo si sciolse in lacrime
e l’uomo con l’ombrello sporco di pioggia in mano
si dileguò nella nebbia da cui era arrivato.

Pagliaccio nella notte

​

Pagliaccio nella notte cerco pace con le botte
la mia vita va a puttane.
Sono l’uomo nato solo, le carezze schiaffeggiate
ricevute da bambino,  
quando a cena digerivo le bestemmie di mio padre.

Pieno d’odio ed ideali,  mi ricordo notti insonni 
al timone di un balcone.
Relegando le urla dentro, regalavo pianti e sogni
alle stelle che oggi ho perso,
mentre apatico del mondo navigavo l’universo. 

E la musica mi amava, pure Dalla mi parlava
con la sua voce di vetro.
Con sudore e canti lenti consolavo i sentimenti
di un corallo color nero
e mi accorgo senza dubbio che vorrei tornare indietro
forse l’unica evasione dalla merda che oggi vedo.

Per anni ho creduto nel cuore dell’uomo, son tutte cazzate
le promesse sociali, presunte, gridat,e son solo bugie.
Ho trovato cartone, carbone, parole nel freddo del Natale
ho mangiato lumache, lombrichi, sorrisi, vomitato poesie.                    

​E’ singolare come la vita paia un giocattolo

un trenino blu sbuffante fumo nel suo viaggiare
ma le rotaie sono di plastica nero carbone
di una tristezza quasi letale se ci si accorge
che il treno corre spinto da mani immaginarie
e la condanna è il non sapere

in quale istante o luogo puoi deragliare.

L’inseguitrice di sogni

​

Da una parte la cabrio, le foto, il tuo cane
l’orizzonte sul mare
dall’altra respiri di vento nel cuore
che trasmetti puntuali
nei tuoi sogni reali
cerchi fiori tra i rami.

Tra quintali di fogli, rumori, ricordi,
tra le labbra serrate mordi la luna
tutto un branco di stelle infuriate
non potrebbe fermare questa carneficina
sei l’enigma irrisolto,
una goccia di brina
che purifica il giorno.

E’ inutile sfuggire al destino
chiudersi in se
perché non vivo senza di te.

Voglio sottrarti ai doveri
mordere i seni, stringerti ancora
prenderti in giro se parli da sola
farti capire cos’amo di te.

E poi rubarti i pensieri
renderli veri, darti l’aurora
di due persone farne una sola
fragola e miele dentro di te.

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